L’Acquedotto Vasariano di Arezzo, una delle più affascinanti opere di ingegneria idraulica della Toscana, da oltre quattro secoli caratterizza la periferia nord orientale della città con le sue 52 arcate monumentali che ricordano quelle degli acquedotti romani. Il percorso dell’acqua inizia alle pendici dell’Alpe di Poti e si conclude nel cuore della città.
Nel I secolo d.C. la romana Arretium era servita da un acquedotto che incanalava l’acqua dall’Alpe di Poti, in località Fonte Mura. La conduttura svolse a lungo il suo compito, ma alla fine del XIII sec. era in stato di abbandono.
Il pittore, architetto e storico dell’arte Giorgio Vasari racconta che Jacopo del Casentino fu incaricato dal governo cittadino, a metà del Trecento, di progettare un nuovo tracciato. Nell’edizione delle sue “Vite” del 1568 egli riporta che l’artista di Pratovecchio fece terminare la condotta alla Fonte Veneziana, dove ancora oggi si vedono i pochi resti del manufatto, di fronte al Palazzo della Giustizia di Arezzo.
Agli inizi del XVI secolo l’acquedotto trecentesco, che intercettava la falda acquifera nella zona di Cognaia, alle pendici dell’Alpe di Poti, era ridotto in pessimo stato. Nel 1527 la Fonte Veneziana smise di funzionare e tra i colpevoli del disservizio Vasari indicò quegli aretini che deviavano il corso dell’acqua per i loro comodi, come ad esempio annaffiare orti e campi.
La Fraternita dei Laici provò a porre fine alla deficienza di approvvigionamento idrico, che nei mesi estivi provocava disagi alla popolazione, stabilendo di portare una nuova conduttura dentro la città a sue spese. I rettori chiesero i permessi al granduca Cosimo I de’ Medici e ai Provveditori delle Fabbriche medicee, quindi affidarono il progetto allo stesso Giorgio Vasari, a cui si devono i primi studi di fattibilità.
L’aretino si dedicò dapprima alla ricerca degli antichi “doccioni” di Cognaia, quindi valutò il modo per deviare l’ultimo tratto del vecchio acquedotto e livellare il terreno per portare le acque captate fino alle mura cittadine. Da lì bisognava però giungere in Piazza Grande attraverso un lungo tunnel.
Nel 1574 Vasari morì, lasciando tutto in stato embrionale. Seguì un nuovo periodo di stallo finché, nel 1590, i rettori della Fraternita dei Laici, con il benestare del granduca Ferdinando I dei Medici, incaricarono l’architetto Raffaele Pagni di riprendere in mano il progetto. L’autorizzazione a costruire il nuovo acquedotto, finanziato con 120.000 scudi, arrivò il 16 maggio 1593. I lavori andarono avanti alcuni anni e furono conclusi nel 1603 dall’architetto Gherardo Mechini.
Il progetto finale consisteva in due parti sotterranee e una parte esterna. Grazie a una galleria filtrante di presa, le acque venivano canalizzate per raggiungere l’area bassa del colle di San Fabiano. A est della città, immerse nella natura, si ammirano le Conserve, ovvero i depositi con copertura a botte che fungono da punti di raccolta e purificazione per le acque convogliate, che da qui iniziano il loro viaggio verso il centro di Arezzo. Assieme alla “Conserva grande” e alla “Conserva piccola”, si osservano anche i pozzi d’aerazione detti Smiragli.
A poca distanza dalla Torre di Gnicche inizia la fase all’aperto, fatta di 52 arcate monumentali che ricordano quelle degli acquedotti di epoca romana, utili a sostenere la condotta pensile fino ai piedi della collina di San Donato. Dopo gli archi l’itinerario dell’acqua torna sottoterra attraverso una galleria e quindi sfocia nella parte bassa di Piazza Grande, andando ad alimentare un’elegante fontana monumentale progettata nel 1603 dallo stesso Mechini come degna conclusione dei lavori.
Acquedotto Vasariano
Acquedotto Vasariano
Acquedotto Vasariano, sullo sfondo la Fortezza Medicea e il Duomo
Conserva piccola
Smiraglio
Testa leonina ritrovata nelle conserve.
Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna
Teste di cavallo ritrovate nelle conserve.
Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna
Fontana di Piazza Grande, Gherardo Mechini, 1603
Fontana di Piazza Grande, Gherardo Mechini, 1603