di Renato Nesi
La storia e le bellezze del Casentino si uniscono a un prodotto che qui si consuma da millenni e fa parte della vita quotidiana della gente: la birra.
In Toscana si produce birra da prima dell’avvento della civiltà Etrusca, ma fu proprio questo popolo a migliorarne il processo produttivo e la qualità, legandone il consumo sia a riti religiosi che a feste. Gli Etruschi avevano anche templi dedicati a questa bevanda che chiamavano Pevak, ed erano custoditi da sacerdoti e sacerdotesse che rivestivano un ruolo importante nella società.
Anche la provincia di Arezzo ed il Casentino in particolare, raccontano della tradizione legata alla birra. Fatica, ritmi delle stagioni, lavoro: per secoli le donne hanno fatto la birra in casa per i loro uomini impegnati nei campi o sui pascoli. Gli ingredienti erano l’orzo, ma anche il farro, l’avena, il miele, le castagne e quant’altro offrisse la terra.
Oggi naturalmente le cose sono molto cambiate, ma negli ultimi quindici anni, sulla scia del giovane movimento della birra artigianale italiana, tra i borghi e i monti di questo territorio sono nate realtà nuove, figlie della passione e della competenza di una generazione di birrai che ha saputo studiare, inventare e sviluppare una nuovo local way of drinking.
Vi proponiamo pertanto un itinerario legato al turismo birrario che vi porterà a vivere un’esperienza nuova, lenta e decisamente spumeggiante.
Scopriremo tre differenti tipologie di birrificio, ognuna con una storia, una filosofia e un’anima tutta sua.
Il nostro viaggio comincia proprio sul Passo della Consuma, a 1.050 di altitudine. La prima cosa da fare è prendersi un attimo di tempo per fare il pieno di energia, con uno sguardo che abbraccia la valle sottostante e ci da un”idea del perché si chiami Casentino, un nome nato forse da clusus, chiuso, o cluseo, vicino alla piana… di Arezzo.
E poi, via, si parte. Potete vivere questo beer tour in automobile, moto, scooter, ma anche in bici: sarà unico in ogni caso.
Tappa 1: Dalla Consuma a Poppi
Imbocchiamo in discesa la Strada Regionale 70 della Consuma, in direzione di Poppi fino a località Scarpaccia, per imboccare poi la Strada Provinciale della Scarpaccia fino al parcheggio, da cui si diparte la stradina che conduce al Castello di Romena, prima bellissima tappa di giornata.
Il maniero sorge in un sito abitato fin da tempi antichissimi. Il nome Rumena, Ormena o Ormina, ci riporta infatti all’etrusco Rumine e al latino Rumenius.
Siamo nell’Alto Casentino fiesolano lungo il fiume Arno in una posizione strategica. Il Castello, tra i più belli della Toscana con il suo cassero a tre torrioni, viene edificato in quattro fasi, a partire dal XI secolo, ad opera della famiglia degli Hucpoldingi, Marchesi di Spoleto e Camerino (i futuri Alberti) chiamati anche “Conti di Romena”, con numerose proprietà sia in Toscana che in Romagna.
Nel corso del 1.100, passò sotto i Conti Guidi arrivando al massimo splendore all’epoca di Dante Alighieri, come i castelli di Porciano e Poppi, durante il secolo successivo.
Alla metà del 1300, fu venduto dai Conti Guidi alla Repubblica di Firenze, che nel 1.700 lo vendette a sua volta ai Conti Goretti, tutt’ora proprietari. Pare anche che qui, nel 1902, Gabriele D’Annunzio abbia scritto buona parte dell’Alcyone.
Lasciato il castello si ritorna in direzione del parcheggio, svoltando prima a sinistra per una deviazione dedicata alla visita della suggestiva Pieve di San Pietro di Romena, realizzata nel corso del XII secolo (1152). Una sosta che richiede circa due ore.

Una volta terminata la visita si riprende la provinciale in direzione di Pratovecchio, si supera l’abitato e in circa quindici minuti si raggiunge Porrena di Poppi con la Strada Statale 310.
Qui si trova il Birrificio Atlantic Oil: un interessante Brewpub (producono cioè la birra nel locale dove viene somministrata) aperto nel 2006 da Andrea Innocenti, home brewer di lunga data. Il progetto prende il via da una fabbrica abbandonata e dai versi di Cesare Pavese, alla cui poesia è ispirato il nome Atlantic Oil. Le birre in carta sono quattro, più alcune stagionali, spaziano tra stili prevalentemente anglosassoni e vengono proposte in abbinamento ad un’ottima cucina gustosa e territoriale. Tra le etichette in carta segnalo la Solea, Bitter molto beverina da 4.2% ABV e la Gotica, Porter da 5.9% ABV.
Sazi e contenti possiamo ora rivolgere l’attenzione a Poppi, uno dei “borghi più belli d’Italia”. Su tutto torreggia il Castello dei Conti Guidi, che si eleva sopra l’abitato quasi come una bandiera piantata a monito sulla vallata, visibile da gran parte del Casentino.
Le vie strette, coi porticati e lastricate in pietra, si aprono d’improvviso su piazzette eleganti, che rimandano a un misto di medioevo e rinascimento, di arte e nuove paure nell’epoca de l’”incastellamento”, tipico del duecento. Il Castello di Poppi è il più giovane tra quelli voluti dai Guidi, edificato tra la fine del 1100 e gli inizi del 1300, ma può vantare ospiti illustri, primo tra tutti Dante Alighieri che qui visse un anno tra il 1310 e il 1311 (c’è chi dice quattro anni), ospite del Conte Guido di Simone da Battifolle, durante il suo esilio da Firenze. Da sottolineare che al suo interno ha sede la Biblioteca Rilliana, con oltre 25.000 testi, molti dei quali manoscritti medievali e incunaboli.
Da non perdere anche la notevole Cappella dei Conti Guidi, con il suo ciclo di affreschi trecenteschi attribuiti a Taddeo Gaddi, allievo del grande Giotto.

Tappa 2: Da Poppi a Bibbiena
Questa tappa ci condurrà alla scoperta di una Birrificio Agricolo.
La Birra Agricola è quella prodotta da birrifici interni ad una azienda agricola che realizza oltre il 50% della materia prima necessaria. Di solito la scelta ricade sui cereali, le erbe aromatiche, come il luppolo, sulla frutta o altri possibili ingredienti di natura agricola.
Prima però ci attende la visita al borgo di Bibbiena, accogliente centro abitato fin dai tempi degli Etruschi, anche se la sua nascita formale è datata nel 979 dopo Cristo, quando il nome antico, Viblena, cambiò in Beblena, per poi divenire, nell’XI secolo, Biblena. In effetti sono proprio i toponimi e la piccola necropoli etrusca trovata sul pendio occidentale della collina di Lonnano, che domina il santuario di Santa Maria del Sasso, a confermare la presenza di un insediamento etrusco in questa zona.
La storia della cittadina, definita popolosa già dal geografo arabo siculo El Idrisi nel XII secolo e oggi ancora indicata come “capoluogo della valle”, è sempre stata tormentata. Battaglie, assedi, saccheggi e chi più ne ha più metta. A Bibbiena non è mancato nulla. Uno degli episodi più cruenti fu senza dubbio quello della battaglia di Campaldino tra Guelfi e Ghibellini. Bibbiena si schierò con i Ghibellini di Arezzo e perse. Il Vescovo Conte Guglielmino degli Ubertini, che abitava in città, venne ucciso dai fiorentini che la saccheggiarono, dopo otto giorni di feroce assedio. La breccia nelle mura è ancora visibile.
Ma nel Settecento il borgo visse una seconda età dell’oro, rifiorendo di arte e cultura; una generale riqualificazione l’eco della quale, spinse giovani rampolli europei in odore di sturm un drung, a compiere un ultimo Grand Tour fino a Bibbiena per acquistare “Vasi di Savona”, come quelli della farmacia storica di Camaldoli.
Oggi il centro è molto curato e per le vie, soprattutto nelle sere d’estate, si respira un’atmosfera vivace e rilassata. L’offerta di servizi turistici è ampia e non mancano ottimi indirizzi enogastronomici tra i quali, naturalmente, non possiamo dimenticare il Birrificio Agricolo La Campana d’Oro.
Il nome prende origine da una leggenda cara ai casentinesi, secondo la quale i boschi intorno al Castello di Porciano custodiscono un segreto, un tesoro per meglio dire. Si tratterebbe di una Campana d’Oro di immenso valore, ma capace di irretire di desiderio gli uomini, conducendoli ad azioni sconsiderate, che non portano nulla di buono. Come successe al giullare Banfio che, dopo aver rischiato la vita ed essersi pentito, finì monaco a Camaldoli.
C’è chi dice che ancora oggi in certe contrade del territorio si reciti la quartina:
“A Porciano, in Casentino,
Tra una fonte ed uno spino,
Si trova una campana d’oro fino,
Che vale quanto tutto il Casentino”.
La favola vuole spingere gli uomini a non essere avidi ed egoisti, ma umili e frugali. Doti proprie della cultura contadina e operosa che ci riporta al nostro Birrificio.
Per raggiungerlo bastano pochi minuti. Si lascia Bibbiena percorrendo la statale 208, per proseguire poi in località La Ferrantina lungo la Strada Regionale 71.
La Campana d’Oro nasce nel 2015 grazie all’impegno e alla passione di Antonella Matassoni del marito Giancarlo e dei figli Matteo e Alex e oggi è un progetto molto articolato che va oltre la produzione di birra.
L’attività infatti si trova in una fattoria ottocentesca, acquistata nel 2003 dalla famiglia ed unisce la produzione in azienda di materia prima da birra, soprattutto cereali, con la dimensione agrituristica e la fattoria didattica. Degustazioni, corsi, eventi, attenzione all’abbinamento birra-cibo sono tutti elementi caratterizzanti di questa bella realtà casentinese.
Al momento le birre prodotte sono cinque, tra cui cito la Ghibellina, una American Amber e la IPA Foglia d’Oro, realizzata con la canapa locale. Non mancano infine proposte di tour pensati per unire la birra a bellezze ed eccellenze del territorio, dal panno del Casentino, al tartufo, ai castelli raggiunti a cavallo.
Insomma, una vera esperienza sensoriale a 360°.

Tappa 3: da Bibbiena alla Croce di Pratomagno
La terza tappa del nostro itinerario ci conduce a Capolona, al confine tra il Casentino e la valle dell’Arno. O meglio, per dirla con Dante, “…lì dove l’Arno torce il muso agli aretini…”. Più che un singolo abitato, quello che si raggiunge in una ventina di minuti di auto da Bibbiena è un territorio all’ombra del Pratomagno, abitato forse già dal neolitico e sicuramente dagli Etruschi, oggi vocato al manifatturiero e all’accoglienza agrituristica, ma anche ricco di storia e di avvenimenti importanti.
Se volessimo provare a raccontarli in stile fiabesco, potremmo iniziare con un bel “c’era una volta… un’Abbazia”.
Sì perché in effetti gran parte delle vicende di questi luoghi hanno ruotato attorno all’Abbazia di San Gennaro a Campus Leonis (da cui il toponimo “Capolona”), che venne fondata nel 972 dopo Cristo e poi affidata a monaci benedettini arrivati da Montecassino. Per oltre due secoli, fino alla fine del millecento il suo potere era enorme, con possedimenti anche in Umbria. Fra gli ospiti illustri dell’Abbazia, nel 1064, si pensa ci sia anche Papa Alessandro II. Da quelle parti, infatti, si trovava anche una villa romana divenuta poi un piccolo castello, di cui ancora si vede una torretta e, al suo interno, fu trovata una medaglia con l’effige del Pontefice.
L’Abbazia terminò la sua parabola di gloria alla fine del trecento e venne poi abbandonata, non senza conseguenze per i borghi circostanti, ma molte testimonianze del medioevo e del rinascimento hanno resistito ai secoli e sono giunte fino a noi attraverso i resti delle fortificazioni, nelle opere d’arte e nelle pievi come Santa Maria Maddalena a Sietina; una cultura tramandata dagli uomini.
Ma Capolona è sede di Bifrons, birrificio che troviamo in Via Dante, Località Subbiano e si raggiunge facilmente con la SR71. L’azienda, a conduzione familiare, nasce nel 2013, dopo anni di passionario homebrewing da parte dei titolari.
Nel 2016 arriva il salto di qualità con un impianto nuovo in grado di garantire stabilità nella produzione. Qui è attivo un accogliente beer garden, per degustare le creazioni della casa: oggi sono otto le birre in carta, tra la quali cito volentieri la Catenaia, una Ale alle castagne da 6,0% ABV e la Apanema, una American Pale Ale da 5,5% ABV.
Ormai siamo quasi giunti al termine del viaggio e del racconto, ma manca ancora qualcosa da fare, per costruire un altro ricordo buono da portare a casa: ammirare il panorama dalla Croce di Pratomagno.
Da Capolona, prendiamo la strada provinciale dello Spicchio fino a Ponte Buriano e da lì la salita lungo la strada provinciale 1 fino al bivio da cui si imbocca la via panoramica del Pratomagno. Il tragitto è bellissimo, con vista superba sulle vallate sottostanti. Considerate un’ora e un quarto per arrivare in cima.
Una volta lasciata l’auto, l’ultimo facile tratto si percorre soltanto a piedi e permette di conquistare la Croce a 1.592 metri di altitudine.
Sulla vetta lo sguardo spazia dal Valdarno al Casentino, in un unico potente abbraccio. E a fermarsi in silenzio, lasciandosi portare via dalla genialità del vento, si intuisce perché il francescano Luigi da Pietrasanta, nel 1926, volle celebrare i 700 anni dalla morte di San Francesco, proponendo di posizionare qui, una croce.
Proprio di fronte al monte de La Verna, quasi come fosse un ponte gettato nel tempo a coprire gli anni e le distanze che si trovano fuori e dentro di noi.