Il panno casentino

Se dovessimo fare un elenco dei prodotti aretini più famosi a livello internazionale, il cosiddetto panno casentino sarebbe di certo ai primi posti.

Il tessuto ha una storia lunghissima, perché la tradizione della lavorazione della lana di pecora in Casentino affonda le sue radici nell’epoca etrusca. La vera storia dell’inconfondibile “panno grosso” può essere fatta partire nel Trecento, quando gli abitanti di Palagio Fiorentino, l’odierna Stia, pagavano le tasse alla Repubblica Fiorentina usando i loro tessuti rusticali di lana. A quel tempo il tessuto serviva principalmente per realizzare il saio destinato a monaci e frati.

Nella seconda metà dell’Ottocento la proverbiale resistenza del panno casentino fu sfruttata a Firenze per commercializzare le mantelline per cavalcature, quindi destinate a coprire gli animali da traino nei mesi freddi. Sono gli anni in cui i Lanifici di Stia e Soci trasformano in industriale la tradizione tessile della vallata e scandiscono l’intera economia dei due paesi, impiegando nell’attività laniera centinaia di abitanti.

Le operazioni principali per ottenere il panno casentino erano la follatura per renderlo impermeabile, la garzatura per avere un lato peloso e la rattinatura per creare i riccioli, che servivano a rendere il tessuto più resistente all’usura ma che divennero presto uno degli elementi caratteristici, assieme ai colori “arancio becco d’oca” e “verde bandiera”.

L’arancio nacque casualmente per un errore di chi, per impermeabilizzare ulteriormente il tessuto, pensò di unire all’allume di rocca dei coloranti chimici al posto della robbia, pianta dalle cui radici i tintori ricavavano il colore rosso da sempre. Venne fuori un rosso aranciato che fu comunque messo nel mercato.  Il verde inizialmente venne accostato a quello arancio solo come fodera, perché i due colori si abbinavano bene. In seguito divenne anch’esso una delle tinte classiche del panno casentino.

Rendendosi conto che d’inverno stavano peggio dei loro cavalli, i barocciai e i cocchieri fiorentini iniziarono a recuperare le mantelline degli animali per farle cucire assieme e creare pastrani e mantelle. L’idea piacque molto alle signore di Firenze e fu apprezzata anche da personaggi illustri come il politico Bettino Ricasoli e i musicisti Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Per gli uomini l’abito in panno casentino cominciò a essere confezionato a doppio petto, con martingala e collo di volpe, simbolo di eleganza e raffinatezza.

Ormai la strada del successo era spianata. L’antico tessuto divenne nel corso del Novecento un’icona del made in Italy, indossato da personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo e della politica. L’attrice Audrey Hepburn, ad esempio, lo indossò nel film “Colazione da Tiffany”. Usato dai grandi stilisti come Roberto Cavalli, Pierre Cardin e Gianfranco Ferré, che lo esportarono nelle grandi piazze della moda di tutto il mondo, oggi il panno casentino guarda al futuro nel segno della ricerca e dell’ampliamento della gamma dei colori, senza mai dimenticare il suo passato. Un’eccellenza toscana nel mondo che anno dopo anno trova sempre più cultori.

La storia del tessuto casentinese può essere ripercorsa oggi nel Museo dell’Arte della Lana di Stia, allestito all’interno dell’ex lanificio del XIX secolo, complesso di grande rilevanza architettonica che alla sua nascita sfruttava l’acqua del torrente Staggia per muovere i macchinari. Nei secoli precedenti, sempre sullo Staggia, c’erano delle piccole gualchiere che lavoravano la lana in maniera artigianale. Alla fine del Settecento nacque un lanificio che nei primi anni dell’Ottocento crebbe ma nel 1848 chiuse i battenti. Sulle sue ceneri, nel 1852, sorse la Società del Lanificio di Stia, che dopo il 1870 e l’arrivo di moderni macchinari dall’estero arrivò ad avere fino a 500 dipendenti. Nel 1979 chiuse definitivamente, ma grazie al museo voluto dalla Fondazione “Luigi e Simonetta Lombard”, creata dalla famiglia che per sessant’anni condusse l’industria, quel patrimonio umano e di macchinari che fu il Lanificio di Stia può essere fato conoscere alle nuove generazioni.

Museo dell’Arte della Lana di Stia

Museo dell’Arte della Lana di Stia

Museo dell’Arte della Lana di Stia

Museo dell’Arte della Lana di Stia

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