Sargiano

Le propaggini settentrionali del monte Lignano, alle porte di Arezzo, accolgono un luogo dove natura, arte e fede creano un mix di grande fascino: l’ex Convento di Sargiano.

Per raggiungerlo bisogna svoltare all’altezza del nodo viario di Olmo e salire per circa un chilometro, fino a raggiungere una croce lignea che dà inizio al viale dell’ex complesso religioso.

Alla fine del XII secolo si trovava nella zona un romitorio dipendente dalla Badia delle SS. Flora e Lucilla di Torrita di Olmo. Nel 1405 i Guasconi donarono all’Osservanza Francescana i terreni per realizzare un convento, portato a compimento nella prima metà di quel secolo.

Nel 1597 il luogo passò ai frati riformati e nel 1638 vi fu fondato uno studentato di teologia e filosofia. Nella seconda metà del Settecento ci furono interventi per migliorare il complesso e tra il 1763 e il 1779 la Chiesa di San Giovanni Battista venne riedificata. Purtroppo andarono perse alcuni dipinti, tra i quali, secondo Giorgio Vasari, un affresco della seconda metà del Quattrocento di Piero della Francesca raffigurante un notturno con “Cristo orante nell’orto”.

Le soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi portarono i frati ad abbandonare il convento nel 1810, per farvi ritorno nel 1816. Nel 1861 il complesso religioso venne confiscato dal Regno d’Italia, ma tra il 1871 e il 1872 fu messo all’asta e riacquistato dagli stessi frati, che nel 1873 dettero il via a restauri e ampliamenti. Dal 1897 quello di Sargiano divenne l’unico studio teologico della Provincia Toscana di San Francesco Stimmatizzato e la redazione del bollettino “La Verna” e della rivista “Studi Francescani” distribuiti in tutto il mondo.

Nell’estate 1944 i versanti di Lignano diventarono teatro di scontri tra i tedeschi e alleati. Il bombardamento aereo del 13 luglio distrusse molte parti del convento, ma alla fine della guerra partì il recupero sotto l’egida di Raffaello Franci, frate e architetto.

Con la crisi delle vocazioni del secondo Novecento lo studentato andò verso il declino e negli anni Sessanta chiuse i battenti. Nei primi anni Novanta anche il convento fu chiuso e dal 1996 al 1998 venne affidato momentaneamente ai missionari Identes. Nel 1999 passò in gestione all’associazione ecumenica e umanitaria Centro dell’Uomo, che ancora oggi lo utilizza per incontri, conferenze, seminari e altre attività.

L’ampia chiesa è a navata unica. L’altare maggiore presenta un “Crocifisso” seicentesco ma in precedenza al suo posto era collocato il “San Francesco” di Margarito d’Arezzo eseguito tra il 1260 e il 1275, adesso nel Museo Statale di Arte medievale e moderna di Arezzo assieme a due terrecotte invetriate della bottega di Andrea della Robbia, anch’esse provenienti da Sargiano. Una raffigura la “Madonna con il Bambino tra i santi Giuliano e Sebastiano” e risale alla fine del XV secolo. L’altra rappresenta “San Francesco che riceve le stimmate” e fu eseguita nei primi anni del Cinquecento. La pala in terracotta policroma con “San Francesco che riceve le stimmate tra San Giovanni Battista e Santa Maria Egiziaca” della prima metà del Quattrocento, assegnato in passato a Michele da Firenze, oggi è invece custodita nella cappella di San Pietro d’Alcantara del Santuario della Verna.

Dal 1998 il meraviglioso bosco delimitato dalle mura conventuali, che si estende per oltre dieci ettari, è stato nominato “Area naturale protetta di interesse locale”. Grazie alla cura plurisecolare dei frati e all’impegno degli ultimi decenni di Provincia e Comune di Arezzo, oggi è un habitat di notevole valore dove flora e fauna convivono in armonia. L’alta presenza di piante di rovere lo rende quasi un unicum per la Toscana.

All’inizio del viale che porta al convento è da osservare il “Leccio di Gnicche”, davanti al quale il più famoso brigante dell’Ottocento aretino, Federigo Bobini detto Gnicche, l’8 gennaio 1871 uccise il contadino Cesare Fracassi.

Salendo ancora mezzo chilometro verso il Monte Lignano si incontra lungo la strada una quercia soprannominata “Albero delle Chiappe”, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu colpita da una scheggia di granata, ma invece di morire crebbe con due protuberanze simili a un sedere femminile ben tornito. La pianta ricorda a tutti che dopo la tragedia, la natura può rinascere nel segno della bellezza.

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