Immersa nella Val di Chiana, lungo la strada che da Cortona conduce a Foiano della Chiana, l’Abbazia di Santa Maria a Farneta è uno dei monasteri benedettini più antichi e conosciuti del territorio aretino. Visse il suo massimo periodo di splendore dal X al XIV secolo.
Il primo documento che la cita è un diploma del 1014, in cui l’imperatore Enrico II confermava a Farneta i tanti castelli, monasteri, chiese e terre possedute in un vasto territorio che sconfinava dalla Val di Chiana. Le bolle papali del XII e XIII secolo ci dicono che l’abbazia era potente e svincolata dall’autorità del vescovo di Arezzo, ma dipendente direttamente dal pontefice. Gli abati erano esonerati dal partecipare ai sinodi diocesani.
Dalla metà del Quattrocento, quando Papa Niccolò V la declassò a commenda e la unì al Monastero di San Martino della Vena sul Trasimeno, iniziò la progressiva decadenza della badia. Dal XVI secolo al 1779 fu unita al Monastero di Rapolano, ma con le soppressioni leopoldine degli anni Ottanta di quel secolo i monaci olivetani se ne andarono. I beni furono così assegnati al Capitolo della Cattedrale di Cortona, decretando di fatto la fine della storia plurisecolare dell’abbazia.
Della parte conventuale oggi non è rimasto nulla, perché dopo la chiusura divenne una cava di materiale per nuove costruzioni. Sopravvisse per fortuna la Chiesa di Santa Maria Assunta, anche se dopo la partenza dei monaci venne ridotta pesantemente. Anche l’antico campanile a torre fu abbattuto ai primi dell’Ottocento e in seguito venne sostituito da un campanile a vela, mentre la preziosa cripta, adattata dal Cinquecento a fossa comune, fu invasa da terra e acqua.
Un intervento arbitrario del 1924 fece più danni che migliorie, finché dal 1940 iniziò il lungo e felice recupero dell’edificio, che nel 1974 riottenne anche il titolo abbaziale.
Oggi la chiesa si presenta in stile romanico, a una sola navata, con tre abside nella parete di fondo e due absidi che si osservano nelle testate del transetto. In origine, probabilmente, aveva un aspetto basilicale con tre navate. Ai lati della porta d’ingresso della chiesa si osservano due colonne di granito di recupero, provenienti da edifici romani.
Nella parete destra del transetto si trovano tre affreschi lacunosi del 1527 con la “Madonna con il Bambino tra i santi Sebastiano e Rocco”, “Santa Lucia” e “San Pietro martire”, firmati da Tommaso Bernabei detto il Papacello e datati 1527. Il primo include un’interessante veduta dell’abbazia del periodo e diventa così un documento fondamentale per comprendere ciò che si è perso. Fu commissionato da Silvio Passerini, cardinale cortonese e grande amico di Papa Leone X.
Il presbiterio è notevolmente sopraelevato sulla cripta, il luogo più prezioso e affascinante di Farneta, che ha mantenuto il suo aspetto originale e si sviluppa sotto la navata trasversale. La struttura riprende la tradizione dei sacelli dei cimiteri paleocristiani, con due celle laterali a forma di trifoglio e una cella centrale a forma di quadrifoglio.
La cripta è coperta da volta a crociera senza sottarchi. Le colonne che sorreggono le volte sono di età romana, differenti l’una dall’altra anche nel materiale: granito rosa, granito cinereo, marmo cipollino e travertino. Notevoli sono anche i motivi dei capitelli.
Nella sagrestia della chiesa, fino a pochi anni fa, era stato allestito un piccolo antiquarium con resti fossili della fauna locale del Pleistocene inferiore come elefanti, ippopotami e cervi, urne etrusche e una tomba romana, ritrovati a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso dallo storico parroco Sante Felice, appassionato di paleontologia e archeologia. Nel piccolo museo di Farneta, adesso ubicato nella ex scuola elementare, denominato Centro di Interpretazione delle Raccolte di Don Sante Felici, si possono ammirare resti molto importanti per comprendere l’habitat della Val di Chiana di un milione e mezzo di anni fa, come quelli di un Mammuthus meridionalis vestinus.