A circa un chilometro e mezzo di distanza da Stia, su una collina a sinistra dell’Arno, il Castello di Porciano è uno dei simboli del medioevo casentinese con la sua mole che incute timore reverenziale a chiunque se lo trovi di fronte.
Il luogo è documentato agli inizi dell’XI secolo. In uno scritto del 1017 figura come residenza del Conte Guido di Teudegrimo, capostipite del ramo dei Conti Guidi da Porciano, che dalla sua posizione strategica poteva controllare la valle fino al territorio bibbienese e le strade verso il Mugello e la Romagna.
Agli inizi del XIV secolo Dante Alighieri fu ospite del fortilizio durante il suo lungo esilio da Firenze. Secondo la tradizione nel 1311 il poeta si recò a Porciano per convincere i signori dell’alto Casentino ad appoggiare Enrico VII di Lussemburgo contro i guelfi fiorentini, durante la discesa in Italia dell’imperatore del Sacro Romano Impero. Qui Dante avrebbe scritto tre celebri lettere: “Al Principe e al Popolo d’Italia”, “Ai Fiorentini” e “A Enrico VII”.
L’ultimo esponente della casata, il Conte Ludovico Guidi, nel 1442 rinunciò spontaneamente alla sua contea e si fece monaco. Il castello passò così sotto il controllo diretto di Firenze e cominciò il lento declino di Porciano, a favore dello sviluppo della vicina Stia, posta più a valle e più comoda da raggiungere per i traffici commerciali.
Nel 1799 i Conti Goretti de’ Flamini acquistarono il maniero che in molte sue parti era ormai diroccato e nel più completo abbandono. Dagli anni Sessanta del secolo scorso partirono i grandi lavori per il recupero, grazie all’impegno di Flaminia Goretti de’ Flamini e del marito americano George Anderson Specht. Dopo gli ultimi interventi del 1975, il castello tornò a vivere e nel 1978 fu inaugurato al suo interno un museo, oggi inserito nella rete dell’Ecomuseo del Casentino.
L’elemento più evidente dell’antico fortilizio è la possente Torre dotata di merlatura alla guelfa, la più grande del Casentino con i suoi 35 metri e sei piani di altezza, che si innalza fra i resti della cinta muraria che aveva due aperture, una a nord e una a sud. La torre del castello, oltre a fungere da abitazione privata e da sede museale, viene utilizzata per convegni e incontri.
Il piano terra ospita una collezione di oggetti della civiltà contadina. Il visitatore può ammirare pezzi antichi di uso agricolo e domestico legati al mondo della mezzadria locale, databili tra il XV e il XVII secolo. È presente anche una piccola raccolta americana di oggetti dei pionieri e delle tribù Navaho e Lakota, di cui George Anderson Specht era un appassionato.
Al primo piano del museo due belle vetrine accolgono i reperti archeologici rinvenuti durante i lavori di restauro del castello negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo e databili tra l’epoca medievale e l’età rinascimentale. Arricchiscono l’esposizione i pannelli illustrativi sulla storia dei Conti Guidi, sul territorio di Porciano e sul lungo restauro del fortilizio. Un plastico del castello aiuta a comprendere meglio l’importanza del luogo.
Al secondo piano si trova il cosiddetto Salone di Dante, la sala di rappresentanza caratterizzata da due grandi finestre ai lati del camino. Questo ambiente rievoca il passaggio del sommo poeta a Porciano intorno al 1311 e viene utilizzato per conferenze, laboratori didattici e seminari.
Per completare la visita al castello si può passeggiare nel piccolo borgo cresciuto intorno al fortilizio, dove è presente la Chiesa di San Lorenzo di origine medievale ma ricostruita nel Seicento. Una delle torre superstiti di Porciano servì come campanile dell’edificio religioso. Fino al 1932 la chiesetta custodiva un trittico del 1414 commissionato dal Conte Neri Guidi al fiorentino Bicci di Lorenzo. Al centro è presenta una bella “Annunciazione”, a sinistra “San Michele Arcangelo e San Jacopo”, a destra “Santa Margherita e San Giovanni Evangelista”. Oggi l’opera è custodita nella Pieve di Santa Maria a Stia.