Una delle storie più divertenti raccontate da Vasari sul vescovo Guido Tarlati, Signore di Arezzo dal 1321 al 1327, riguarda una scimmietta. Non è dato sapere il nome del peloso animaletto, ma siamo certi del suo carattere dispettoso e dell’affetto che suscitava nell’arcigno prelato. Ce ne parla Franco Sacchetti nelle sue Trecento Novelle e il Vasari riprende l’episodio nelle sue Vite.
Dovete sapere che durante la decorazione della Cattedrale un artista dal nome particolare ha avuto a che fare con la scimmia. L’artista era noto come “Buffalmacco” (al secolo Buonamico di Martino). Questo pittore era ben conosciuto nella Toscana di quegli anni e possiamo trovare una delle sue opere più celebri a Pisa, dove ha affrescato uno strepitoso Giudizio Universale. Era considerato un uomo intelligente e spiritoso, pronto allo scherzo. Per molto tempo si è addirittura creduto che fosse un personaggio immaginario, dato che è protagonista di alcune Novelle del Boccaccio.
Ma torniamo alla vicenda che lo vede protagonista assieme al nostro vescovo. Buffalmacco aveva ad Arezzo un incarico prestigioso: decorare per conto del Tarlati, una cappella in cattedrale. Guido avrebbe visto tutti i giorni quell’opera e sappiamo quanto fosse importante accontentare i propri committenti. Buffalmacco aveva però un problema. Aveva preparato il bozzetto, aveva steso la cosiddetta “sinopia”, in altre parole aveva delineato il disegno sul muro, ma quando tornava la mattina per iniziare a stendere il colore, trovava il suo lavoro tutto imbrattato. A chi dare la colpa? Un assistente sbadato? Uno dei canonici in vena di scherzi? Magari un pittore rivale pronto a screditarlo? Invece no. Era proprio la scimmietta del Vescovo. Il “Bertuccione” come lo chiama Vasari.
Un sabato sera il Bertuccione, che aveva osservato Buffalmacco mentre mescolava i colori, si era infiltrato nella cattedrale e aveva fatto un’opera sua sopra quella appena creata. In un primo tempo, Tarlati aveva pensato che fosse stato davvero un nemico della sua famiglia o un rivale del pittore, così aveva messo a guardia i suoi uomini durante la notte. Essendo uomo di spirito, anche lui si mise a ridere quando le sentinelle lo chiamarono per fargli vedere che il Bertuccione era tornato ancora una volta sul “luogo del delitto” e stava correggendo di nuovo l’affresco di Buffalmacco. E cosa ne pensò il nostro artista? “Monsignore, voi volete che si dipinga a un modo, e il vostro Bertuccione vuole a un altro. Dunque ora che avete un gran maestro in casa, non mi resta che tornarmene mestamente a Firenze.” Il vescovo rise a lungo: decise che preferiva lo stile di Buffalmacco. Mise la scimmia in punizione in una gabbia e la gabbia vicino al pittore che rifaceva l’affresco.
Non sappiamo quanto di vero ci sia in questa storia. Tuttavia, tra leggenda e realtà, ad Arezzo ci sono molte testimonianze della bravura di Buffalmacco. Nella cattedrale se ne ammira la cappella di Ciuccio Tarlati (sarà l’affresco incriminato?) e al Museo Nazionale di Arte Medievale e Moderna un fiero San Michele pronto a difendere la città. È andata perduta l’ultima burla che il pittore lasciò ad Arezzo. Il vescovo voleva un’aquila che attaccava un leone in un affresco sul suo palazzo. Il problema era il significato: la supremazia del Tarlati su Firenze e la sua politica. Forse per questo o forse per vendetta, in gran segreto, Buffalmacco fece tutto il contrario: il leone azzannava l’aquila. Quando Tarlati vide l’opera il pittore era già a Firenze con una scusa. Tarlati lo mise al bando, ma si dice che alla fine lo abbia perdonato, ripensando, forse, alle risate che aveva fatto con lui.