Il crocifisso di Cimabue

Il Crocifisso di Cimabue racconta al mondo intero la straordinaria ricchezza artistica di Arezzo. Basterebbe la fama di quest’opera a giustificare un soggiorno in città. Che sia solo una tappa o il motivo principale della tua visita, il Crocifisso di Cimabue vale il viaggio.

Davanti a quest’opera, custodita nella meravigliosa Basilica di San Domenico, ti troverai al cospetto di un capolavoro rivoluzionario per il Duecento.

Chiesa di san Domenico
Chiesa di san Domenico

La storia del Crocifisso

Nella parte alta del centro storico, in una delle piazze più silenziose e magiche della città, la Basilica di San Domenico ti invita ad entrare. Attraversa la grande navata coperta da un imponente soffitto a capriate di legno fino al presbiterio. Il Crocifisso di Cimabue è lì, sospeso nello spazio.

Secondo gli storici, tra il 1265 e il 1271 Cimabue avrebbe terminato questa croce di legno, che da allora non ha mai lasciato la Basilica di San Domenico. Le strisce bianche e nere che decorano i bordi della cappella centrale, dietro l’altare maggiore, valorizzano e mettono in risalto l’opera del pittore fiorentino.

Tempo fa si credeva che il Cristo sofferente della Basilica di San Domenico fosse opera di Margaritone d’Arezzo. Adesso la maggioranza degli esperti sostiene che questa sia la prima creazione di Cimabue. Di più, la più antica esistente del maestro di Firenze. Sono trascorsi oltre sette secoli da quando l’artista, all’epoca ancora giovane, dovrebbe averlo concluso.

Lo splendore che ti regala oggi è frutto di due restauri, compiuti nel 1917 e nel 2005. L’azzurro delle vetrate dietro la croce e i colori caldi dell’opera danno vita ad un contrasto forte. Stai per immergerti dentro i segreti di questo capolavoro.

La croce più famosa di Arezzo, spiegata bene

Che sia la prima visita o che tu l’abbia già visto, il Crocifisso di Cimabue sarà sempre un buon motivo per entrare nella Basilica di San Domenico. Davvero, non puoi rinunciare al vis-à-vis con quest’opera.

La croce, dalla singolare forma sagomata, presenta le figure della Madonna e di San Giovanni, dipinte alle estremità del braccio orizzontale. Sia la Vergine che il santo piangono Gesù in una posa addolorata, con la testa che grava su una mano. Cimabue ha inserito delle piccole lamine dorate sulle loro vesti che le fanno sembrare più luminose.

Sopra al Crocifisso scorgerai l’immagine di Cristo benedicente all’interno di un cerchio. La scritta in latino che leggi là sotto significa: “Questo è Gesù Nazareno re dei Giudei”.

Scendi con lo sguardo alla sezione centrale, quella che contiene il busto e le gambe di Cristo, abbellita da un motivo geometrico. La base dell’asse verticale della croce, invece, è stata lasciata libera tranne che per i piedi del Salvatore.

 

I “fratelli” del Crocifisso di Cimabue a Firenze e Bologna

Per caso questo primo colpo d’occhio ti ha ricordato altre opere d’arte? Può esserti venuto in mente il Crocifisso di Santa Croce, che Cimabue ha dipinto per l’omonima basilica di Firenze.

L’opera di Firenze è più grande di quella aretina e l’artista l’ha conclusa dopo il lavoro per la Basilica di San Domenico. Purtroppo, l’alluvione del 1966 ha danneggiato in modo irreversibile il “gemello” fiorentino del Crocifisso di Arezzo.

Il modello a cui – così pare – si è ispirato il maestro si trova invece a Bologna, nella Basilica di San Domenico. Stavolta la firma è di Giunta Pisano.

Le affinità tra i due crocifissi sottolineano il legame fra le chiese dello stesso ordine, ma riconoscerai che il Cristo in croce di Cimabue ha maggiore espressività. Perché è proprio il personaggio di Gesù che rivela l’essenza di questo crocifisso.

Unico per umanità

Le cromie del Crocifisso di Cimabue sono così cariche e lucenti che sembrano avere vita propria. Guarda quelle calde, soprattutto il rosso, colore della passione. I tuoi occhi saranno attirati prima dal panno che circonda la vita di Cristo, poi dal sangue che fuoriesce dalle mani e dai piedi trapassati dai chiodi.

Gesù sulla croce è una persona, non una divinità. Il pittore fiorentino ha scelto l’iconografia del Cristo sofferente incoraggiata dai francescani e ha dato una svolta strepitosa alla storia dell’arte. Il linguaggio che si era affermato con la tradizione bizantina viene profondamente rinnovato da questo Crocifisso: Gesù soffre proprio come un uomo vero.

Scorri il profilo delle ossa che fuoriesce dal torace. L’addome ricorda la corazza di un’armatura. Specialmente questa zona del corpo del Nazareno trasporta nella pittura una tridimensionalità evidente (ma fanno eccezione le mani, piattissime).

Un uso del chiaroscuro mai visto prima dell’epoca di Cimabue crea un’empatia viscerale tra te e il Cristo dipinto. Questo abilissimo maestro toscano l’ha ottenuto con linee fini e scure, parallele fra loro.

Piano piano prendi confidenza con il gioiello che hai davanti per ammirare le innovazioni volute dall’artista. Il torace è un po’ sproporzionato per esprimere la sofferenza. La torsione del corpo ti racconta la forza di gravità e il supplizio fisico della crocifissione. I capelli e la barba sono forse il particolare più realistico di tutti, capace di dare setosità anche al legno coperto di tempera.

Quello di Gesù è un dolore che ti senti quasi addosso. Cimabue te lo trasmette con le rughe del viso, le palpebre chiuse, la posizione del capo abbandonato sulla spalla. Davanti a un Cristo che ti sembra veramente umano come te, ti scoprirai pervaso da un senso di profonda comunanza.

È il potere della bellezza universale. Vieni ad Arezzo e lasciati conquistare.