di Renato Nesi
C’è un luogo preciso ad Anghiari, che ne racconta la dualità e il suo vivere da secoli, una vita in prospettiva. È l’incrocio tra via Del Carmine e corso Matteotti.
Basta fermarsi un attimo, le spalle al Conventone e guardare la strada, tesa come una corda, a filo di spada, che ripida scende alla piana e punta dritta verso Sansepolcro. Il 13% di pendenza nella prima parte la rende quasi epica, se la leggi nei volti di chi la affronta in bici, come nell’ottava tappa del Giro d’Italia 2016.
Il monte e la piana. La Val Tiberina toscana e i colli casentinesi, legati da sempre e coinvolti da millenni in un’infinità di storie; oggi proveremo a raccontarne alcune. Un viaggio che muove lungo un itinerario che da Anghiari porta al borgo di Caprese Michelangelo, da lì all’Alpe della Faggeta e all’intreccio con il cammino di San Francesco. Naturalmente, senza dimenticare una sosta birraria.
Tappa 1: Anghiari
La presenza di Anghiari, dal latino Angularium o dal longobardo Ango (ma è probabile che l’origine del nome derivi dalla forma dell’antico castello Castrum Angulare), è documentata fin dal 1048, anche se i primi insediamenti furono di epoca romana. Fino al 1259, ai piedi del colle sedimentario dove sorge la cittadina, scorreva il Tevere, deviato per bonificare l’area e avviarla all’attività agricola, con la successiva costruzione di dodici mulini. La sua posizione è sempre stata decisamente strategica. Di qua sono passati moltissimi limes della storia. Alcuni reali, politici, altri simbolici.
La struttura urbanistica come la vediamo oggi affonda le radici negli ultimi secoli del medioevo, le mura sono duecentesche, a ulteriore dimostrazione di come il mondo dell’epoca fosse decisamente in fermento (il riferimento birrario qui, non era voluto, ma d’altra parte…) e raccontano bene il fenomeno de l’”incastellamento” diffuso negli ultimi secoli del medioevo. Quando la sicurezza dei regni tardo antichi era venuta meno e le comunità locali sentivano il bisogno concreto di difendersi in spazi comuni. Non è un caso che anche Anghiari avviò la costruzione della nuova cerchia muraria, dopo che il Castello dei Signori di Galbino fu devastato dagli aretini nel 1181.
Nei secoli a venire, tuttavia, il borgo fu reso celebre nel mondo da un fatto di sangue, noto come la battaglia di Anghiari.
Il combattimento, che si svolse il 29 giugno 1440, vide contrapposto l’esercito del duca di Milano Filippo Maria Visconti guidato da Niccolò Piccinino e quello di una coalizione composta da 4000 Fiorentini agli ordini Giampaolo Orsini, altrettanti soldati del Papa al comando di Ludovico Trevisano ed una compagnia di 300 cavalieri di Venezia. Oltre ai volontari di Anghiari.
La coalizione ebbe la meglio ponendo così fine alle mire di conquista dei Visconti, che da tempo volevano espandersi in Toscana.
Sicuramente fu un evento importante, ma è curioso come la sua fama sia in realtà dovuta non tanto al fatto in sé, alla drammaticità dello scontro, quanto alla sua rappresentazione artistica.
Nel 1503 infatti Pier Soderini, Gonfaloniere della Repubblica Fiorentina, commissionò un enorme pittura murale a Leonardo da Vinci, per celebrare la vittoria repubblicana e i suoi valori, su invasori e tiranni. L’opera doveva realizzarsi a Palazzo Vecchio, nel salone allora detto del “Gran Consiglio” proprio, ironia della sorte, di fronte all’affresco dedicato alla Battaglia di Cascina (29 luglio 1364, contro i Pisani), affidato al suo collega e rivale Michelangelo, nato proprio vicino ad Anghiari.
Come è noto Leonardo non riuscì a completare il suo progetto, che oggi purtroppo è andato perduto. Anche se ne sono rimaste alcune copie, fra cui una di Rubens, tuttora conservata al Museo del Louvre di Parigi.
Insomma, di motivi per visitare Anghiari ce ne sono tanti, non ultimi i panorami che se ne godono, lo scrigno romantico delle vie del centro storico, i localini dove concedersi una sosta per due chiacchiere e un calice di vino, oltre ad un’ottima gastronomia che vi aspetta nelle numerose osterie. Per non parlare dei dintorni. Potrete trascorrere qui anche una settimana, senza riuscire a scoprire tutto quel che di bello c’è da vedere nel raggio di una trentina di chilometri.
Tappa 2: Caprese Michelangelo
Il nostro itinerario ci porta adesso in quello che fu il borgo natale di Michelangelo Buonarroti, Caprese, che porta il nome del suo figlio più grande dal 9 febbraio 1913, quando un Regio Decreto volle celebrare l’artista nell’anima stessa del paese cambiandone, per l’appunto, il toponimo.
Michelangelo nacque da una famiglia abbastanza agiata il 6 marzo 1475, nel periodo in cui il padre Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni, svolgeva qui la funzione di Podestà. Il che, con ogni probabilità, spiega perché la sua casa natale si trovi proprio nel cuore del castello, dove oggi ha sede il museo dedicato all’artista, costituito da tre edifici principali: il Palazzo del Podestà, Palazzo Clusini e la Corte Alta, oltre a un giardino con esposizione all’aperto dove si trova anche una piccola edicola, costruita ad inizio Novecento e dedicata al Michelangelo bambino.
In effetti c’è anche un altro motivo per cui propongo questa tappa, ma procediamo con ordine.
Caprese dista circa 16 chilometri da Anghiari, che in auto si raggiunge in poco più di venti minuti lungo la strada provinciale 47, ma qui la vita è un’altra cosa, fidatevi. Il borgo si compone di un nucleo antico, alto medioevale, posto su un colle e di uno più moderno figlio dell’edilizia diffusa nella seconda metà del secolo scorso. La comunità è piccola, poco più di un migliaio di residenti, ma ancora viva e legata alle proprie tradizioni.
Fonti storiche parlano di Caprese già intorno all’anno mille, mentre del castello si trova traccia dal 1082, quando apparteneva ai signori di Galbino.
Va detto che, di certo, quelli non erano tempi molto tranquilli. All’epoca l’Italia era in gran parte scossa dalle guerre combattute dai regni tardo antichi, in particolare tra Longobardi e Bizantini, ed è proprio in quel periodo che qualcuno decise di fermarsi a vivere da queste parti, dando origine a un abitato che, per la sua posizione strategica, fece gola ai potenti di zona durante tutto il Medioevo.
La proprietà del castello fu a lungo contesa, passando nelle mani di Arezzo nel 1226, dei Guidi di Romena nel 1260 e poi di Firenze nel 1384. Basterebbe questo a far capire come Caprese abbia una storia ricca, che va oltre quella di Michelangelo. Una storia magari meno famosa, ma fatta di intrighi, assedi, scontri e intrecci di vite provenienti chissà perché da un qualche “lontano”. Forse per fuga od amore, guerra o commercio e che ad un certo punto si sono incontrate qui. Ma c’è dell’altro.
Ad appena mezz’ora di auto, circa 20 chilometri dal borgo, si trova infatti il Monte Sacro de La Verna e tanto basta per inquadrare Caprese anche nel vasto e meraviglioso universo francescano. Sui monti intorno passano numerosi cammini devozionali e sentieri antichi che collegavano eremi, santuari e luoghi di ricerca spirituale. A volte aiutavano anche una certa umanità a non dare troppo nell’occhio, ma per ora limitiamoci al resto.
Nei pressi del paese si trovano inoltre l’Abbazia camaldolese di Tifi, la suggestiva piccola Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano e la tanto romanica, quanto romantica, Chiesa di San Cristoforo a Monna.
E poi c’è il fascino dei luoghi che testimoniano il passaggio di San Francesco durante i suoi viaggi da Assisi La Verna: la Chiesa di San Polo, la Cappella di Zenzano, l’Eremo della Casella. Insomma, l’avreste mai detto che un così piccolo paesino di mezza montagna perso tra i valichi dell’appennino, avesse così tanti tesori da scoprire? Beh, io sì. Anche perché Caprese fa parte della mia vita da sempre.
Ma, come dicevo all’inizio di questo racconto, non solo per amore dell’arte e della storia vi ho condotto qui. C’è di mezzo anche la birra.
Già perché Caprese ha pure il suo birrificio Artigianale. Per essere più precisi si tratta di un birrificio agricolo, cioè di un’azienda agricola che produce la maggior parte della materia prima utilizzata per fare la birra (al momento prevalentemente orzo). Sto parlando de La Luppolaia, fondata nel 2015 da Elisa Brogialdi, titolare e Birraia. La sala cotte può contare su un impianto da 5 ettolitri come capacità su singolo ciclo d’ammostamento e da 500 come prestazione media annua. Il birrificio, che si trova nella frazione Trecciano, immerso in un contesto invidiabile, può contare sull’acqua della pregiata sorgente del Monte Faggeta e su una struttura a basso impatto ambientale grazie a sistemi di sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili. Una cosa che non si smette mai di sottovalutare.
Sul fronte birra, Elisa predilige gli stili di ispirazione belga, come Tripel, Dubbel, Belgian Blonde Ale, ma in linea non mancano una Ipa tutt’altro che estrema, una piacevole Stout e una birra con miele di castagno locale. Completa la batteria una Blonde Ale gluten free. Sono possibili, su prenotazione, visite e degustazioni nella bella sala adiacente al birrificio.
Anche la gastronomia è un punto forte del territorio, da provare magari in abbinamento con le birre di qua o, se preferite, con un bel bicchiere di rosso di Anghiari e della Valtiberina.
In Toscana il nome di Caprese Michelangelo vuol dire soprattutto castagne. Il pregiato marrone locale è caratterizzato da un sapore molto intenso, tendente al dolce. A testimonianza della sua qualità, nel 2009, il “marrone di Caprese Michelangelo” ha ottenuto la denominazione di origine protetta (DOP) e la sua produzione è oggi regolata da un rigido disciplinare. Nel mese di ottobre solitamente si tiene in paese una festa per celebrarlo e gustarlo in ogni modo possibile.
La zona è conosciuta anche per i suoi funghi, per i tartufi neri, proposti soprattutto con le paste fresche e per la selvaggina.
Tappa 3: Il Monte Faggeta e il Monte Altuccio
L’ultima parte del nostro itinerario, non richiede poi molta strada da fare, ma propone quel pizzico di fantasia che cambia il volto a tutte le cose. Poco fa ho fatto cenno al Monte Faggeta, o come l’ho sempre sentito chiamare io, l’Alpe della Faggeta. Ci si arriva in auto seguendo l’omonima Via Faggeta, disseminata di casette e chalet immersi nel bosco, in un paradiso di quiete e profumi a 1.200 metri. Da qui si imbocca un comodo sentiero ben segnalato che in un’oretta di totale relax permette di salire ai Prati Alti e da lì ai 1.407 metri del Monte Altuccio.
Il panorama che si gode è semplicemente stupendo e spazia dalla Valtiberina, al Casentino, al Lago di Montedoglio. In inverno, negli anni buoni, la neve crea un mare bianco e in estate il vento smorza il caldo e pulisce l’aria. Una volta in cima la scelta è vostra: un bel pic-nic e un’ora sdraiati in silenzio oppure via, zaino in spalla, si prosegue intrecciando la via con i cammini francescani che conducono fino a Chiusi della Verna, seguendo il panoramico sentiero di cresta numero 50. Considerate circa 5 ore a passo CAI, senza particolari difficoltà.
Pensare che un tempo, volevano farci una stazione sciistica da queste parti. Ma poi le cose cambiamo, gli entusiasmi e le idee cedono il posto a suggestioni nuove e certi angoli di mondo lontano vengono preservati quasi per caso. Cosa della quale sono molto grato.
Bene amici, per oggi il nostro viaggio termina qui. Ma non è il caso di fermarsi, di spegnere la curiosità. No, quella deve viaggiare sempre, puntare oltre la prossima collina anche solo nella voglia di ripartire, nel pianificare il prossimo cammino, se è vero come è vero che, per dirla con Michelangelo “L’attesa è il futuro che si presenta a mani vuote”.