Camaldoli – Tra cultura, spiritualità e accoglienza

di Lorenza Cerbini

Oggi si chiama “style of life”, stile di vita. Quello dei monaci camaldolesi, votato alla cura della mente e del corpo è antico di mille anni. La farmacia, la foresteria e l’azienda agricola “La Mausolea” sono elementi inscindibili dal monastero stesso e, in questo mondo cibernetico sconvolto dai cambiamenti climatici e dalla fiducia fortemente riposta sulla tecnologia salvifica degli umani peccati, rappresentano l’elemento di congiunzione con quella regola dettata in origine da San Benedetto: prega, lavora e leggi.

I monaci camaldolesi sono benedettini, gente che sulla fatica, lo studio e la riflessione ha costruito la sua permanente rivoluzione. Il monastero come lo vediamo oggi – a cui si aggiunge il famoso Sacro Eremo, un’entità che respira di vita propria a tre chilometri di distanza dal cuore monastico – è un work in progress fondato su quelle prime pietre piazzate all’inizio del XI secolo da san Romualdo, un ravennate alla ricerca dell’aspetto più contemplativo del pensiero benedettino. Situato a 840 metri di altitudine, Camaldoli era luogo impervio e isolato abbastanza da far al caso suo.

Un luogo di cultura

La struttura arrivata fino a noi è il frutto di ampliamenti successivi. I chiostri sono quattro con forme architettoniche distinte. L’ultima ristrutturazione è ancora in corso, una nuova biblioteca (inaugurata luglio 2021 per chi leggerà questo scritto “postumo”) contenente 35mila libri (www.camaldolicultura.it/biblioteca-moderna/), luogo di ricerca e non solo di studio, per rafforzare quello scambio di idee e riflessioni che porta i monaci benedettini a pregare con la testa all’ingiù e i loro ospiti a unirsi nella posizione del loto. Proprio la contemplazione ha fatto avvicinare questi monaci al mondo induista e buddista. A Camaldoli lo scambio interreligioso e l’apertura verso la società laica sono realtà consolidate da quando padre Benedetto Calati (eletto priore nel 1987 è morto nel 2000) favorì i viaggi all’estero dei suoi confratelli, promosse i colloqui ebraico-cristiani e pure gli “Itinerari e Incontri” dell’eremo di Montegiove iniziati da Benedetto Calati e Adriana Zarri.
Oggi, l’aspetto più misterioso è che questo stile di vita funziona e nero su bianco è pure un programma su base annuale con un calendario strutturato di esercizi spirituali, convegni e corsi di lingue bibliche. “Coscienza e intelligenza artificiale”, “Il diverso da me nel cristianesimo, nell’islam e nel buddismo”, “Il vangelo secondo Caravaggio”, “Il respiro della foresta, del silenzio e di Dio per un’eco-spiritualità del creato”, le lezioni di ebraico e greco, sono solo alcuni dei temi (e seminari) proposti e attraggono studiosi e genti da ogni dove che possono fermarsi nella foresteria, dotata di 70 stanze con bagno e capace di ospitare fino a 150 persone. Il giorno più atteso è quello di Pentecoste.
“Da tre decenni teniamo un convegno a tema interreligioso e una veglia di preghiera con invitati i rappresentanti delle confessioni presenti sul territorio locale”, dice fratel Axel, monaco di origine tedesca insegnante di yoga e di meditazione HYI (Himalayan Yoga Institute).
“In questo anno così particolare, il convegno si è svolto in forma digitale. Il tema era “L’altro”. Noi camaldolesi abbiamo portato un testo tratto dall’Esodo, il libro comune con l’ebraismo”.

La biblioteca, contenente 35mila libri, è luogo di ricerca e non solo di studio.

Da Camaldoli all’India

Per capirne davvero di più sulle dinamiche camaldolesi bisognerebbe prendere l’aereo e recarsi nel sud dell’India, dove questi monaci hanno un loro ashram, quello di Shantivanam definito da Paolo Trianni (Pontificia Università Gregoriana) “il luogo dove più magnificamente la spiritualità cristiana si è incontrata con quella indiana, e quindi ha messo in campo una grande forza evolutiva e pacificatoria”. Al saio si sostituisce l’abito arancione dei samnyasin. “Si fa liturgia cristiana in una maniera tipicamente Indiana”, dice padre Axel. “La mattina si inizia la giornata con dei mantra e si leggono i salmi. Durante la messa si fa l’arati, la benedizione attraverso il fuoco”.
La preghiera conduce in India come in Casentino. Il Sacro Eremo accoglie oggi una decina di eremiti. Vivono nelle loro celle, strutturate come vere e proprie case (con camera, studiolo, bagno e cappella) a cui si accede da un viale comune. Formano una sorta di villaggio immerso nel silenzio. Ai turisti è concesso di visitare solo la cella dove Romualdo visse circa due anni. Il santo è rappresentato in un dipinto del Seicento durante uno dei suoi miracoli. Tra le opere da ammirare, anche un pregiatissimo altorilievo in ceramica invetriata di Andrea Della Robbia, situato nella cappella dedicata a Sant’Antonio Abate.

I custodi della foresta

Fino a pochi decenni fa, i camaldolesi erano i custodi di quella che oggi è tra le foreste più belle del pianeta (adesso curata dai Carabinieri forestali). Gli abeti bianchi sono stati messi a dimora con sequenza aritmetica. Il prezioso legname era utile ai notabili toscani per la costruzione delle navi commerciali e da guerra, delle impalcature necessarie per palazzi, edifici sacri e monumenti. Il legno arrivava a destinazione anche trasportato dalle piene dell’Arno alimentato dai rivoli che solcano il Parco delle Foreste Casentinesi. La silvicoltura dunque era la principale fonte di sussistenza dei monaci che nei boschi trovavano anche le erbe officinali utilizzate per curare pellegrini e viandanti (nei locali dell’antica farmacia sono ancora conservate pentole, torchi e alambicchi usati per estrarre da fiori e piante il loro potere curativo) e ancora oggi alla base delle linee di cosmesi naturale vendute col marchio “Antica Farmacia dei Monaci Camaldolesi”.
Il monastero di Camaldoli e il Sacro Eremo (pure dotato di una piccolo foresteria per accogliere singoli, famiglie e gruppi) sono meta non solo di studiosi, pellegrini e turisti occasionali, ma dei camminatori provenienti da tutta Europa. Le due strutture si trovano lungo il sentiero Italia Cai (in totale circa 7mila200 chilometri attraverso Appennino e Alpi) di cui fa parte il Gea. La Grande Escursione Appenninica è un itinerario di 425 km diviso il 28 tappe (ideato nel 1981 da due esperti di trekking, Gianfranco Bracci e Alfonso Bietolini – fonte Wikipedia) e parte integrante del sentiero Europeo E1. Due sezioni hanno arrivo e partenza da Camaldoli (Badia Prataglia-Camaldoli di 19,75 km attraverso il passo della Calla; Camaldoli-Passo del Muraglione di 14 km). Dal monastero si può anche raggiungere il Santuario francescano de La Verna attraverso la cosidetta Valle Santa. Un percorso paesaggistico affascinante, ma pure molto impegnativo per i continui su e giù. Lo conosce bene Angela Seracchioli, camminatrice esperta e autrice di bestseller sui cammini italiani. “Ero una adolescente quando per la prima volta ho messo piede a Camaldoli. Era la metà degli anni Sessanta e facevo parte di un gruppo di scout ravennati, la mia città di origine. All’epoca, le donne non erano ammesse, noi eravamo due. Chiedemmo di fermarci per la notte ed eravamo così pesantemente vestite che nessuno dei monaci se ne accorse. Da allora, sono tornata a Camaldoli molte volte. Non dimenticherò mai un capodanno di circa dieci anni fa. Si svolse una processione con una fiaccolata notturna. C’era molta neve. Rese l’atmosfera ancora più incantata”.

Il Sacro Eremo è pure dotato di una piccolo foresteria per accogliere singoli, famiglie e gruppi

Scopri di più:

L’Eremo e il Monastero di Camaldoli

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